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i martiri della fede

Albania 2013 - Incontrando i testimoni della fede



Albania: una chiesa martire che risorge Il suo vero nome è Shqiperi «il paese delle aquile». Ma l'Albania nel corso del Novecento ha conosciuto ben altri rapaci. Gli artigli che hanno dilaniato la popolazione albanese sono stati quelli dei comunisti al potere dal 1944 al 1991.

Enver Hoxha, dittatore marxista, è riuscito a fare del piccola stato albanese uno scolaro modello dei più ferrei precetti comunisti. La repressione è stata esercitata con una ferocia che non ha nulla da invidiare ad altri regimi rossi. Grazie anche ai servizi segreti della «Sigurimi», il Kgb nazionale, nel periodo comunista circa un albanese su tre è stato o vittima, o carnefice al servizio del Partito. Tuttavia la furia di Hoxha e compagni si è scatenata con inaudita brutalità contro i credenti; in particolare contro i cattolici.

Tutti i luoghi di culto furono presi d'assalto, profanati, bruciati o trasformati in depositi o magazzini. Vescovi e preti furono arrestati, malmenati in pubblico, inviati nei campi di lavoro. Le suore furono obbligate ad abbandonare l'abito:

quelle che rifiutavano venivano gettate nei campi o inviate nude nelle strade della città dopo esser state torturate. I processi farsa a cui furono sottoposti i credenti venivano diffusi via radio e riassunti in uno speciale la domenica mattina all'ora della Messa.

Ma le persecuzioni sarebbero andate avanti ancora per molti anni. Non fu certo facile soffocare il credo religioso di una terra che pare sia stata evangelizzata dallo stesso Paolo di Tarso e cristianizzata per secoli da francescani e gesuiti.

«Ogni fascista portatore di un vestito clericale deve essere ucciso con una palla nella testa e senza processo». Era questo uno dei motti del regime. Ma illuminante è la testimonianza di uno dei cardinali più perseguitati, Mikel Koliqi (morto nel 1979):

«Il regime voleva costruire un "Uomo nuovo”, spoglio di tutte le sue radici. Ma la fede cattolica conferisce all'uomo una dignità che gli impedisce di tacitare la sua coscienza. Il cattolicesimo regolava così la vita della nazione. I nostri più grandi poeti e scrittori erano cattolici. Avevamo eccellenti scuole frequentate anche dai musulmani. Il regime comunista ha voluto decapitare tutta la classe dirigente ed intellettuale del Paese. Per cinquant'anni, la nostra letteratura è stata cancellata dai libri e dalla nostra memoria». Il regime comunista era molto aggressivo contro il clero cattolico, perché vedeva in loro degli avversari più pericolosi. Tutti i sacerdoti avevano studiato all’ estero e conoscevano bene l'ideologia comunista. Adesso presentiamo alcuni dei Martiri d'Albania, per i quali è già avviato il processo della canonizzazione. L'inizio del processo canonico per la proclamazione di questi "Servi di Dio", uccisi per la fede, ha un valore molto importante e significativo per la nazione albanese, poiché i santi e i martiri non sono soltanto mediatori tra Dio e l'uomo, ma anche modelli cui ispirarsi per dare un volto nuovo e un futuro a questo popolo che ha molto sofferto.

Don Lazer Shantoja fu torturato e gli furono amputati mani e piedi; al vederlo ridotto così sua madre esclamò disperata: "Compro io il proiettile per ucciderlo, ma non lasciatelo più in queste terribili condizioni". E mentre costui veniva fucilato a Tirana, nella capitale dell'Albania, un altro sacerdote, don Ndre Zadeja, veniva fucilato nella vecchia e storica città di Scutari, centro del cattolicesimo e della cultura albanese. In seguito furono fucilati padre Giovanni Fausti e padre Daniel Dajani, gesuiti; padre Gjon Shllaku O.F.M., il seminarista Mark çuni, i signori Gjelosh Lulashi, Qerim Sadiku e Fran Mirakaj e padre Anton Harapi, Superiore Provinciale dei Frati Minori. In seguito Padre Mati Prendushi, guardiano del convento San Francesco di Gjuhadol, Scutari. L'arcivescovo di Scutari, Mons. Gasper Thaçi e l'arcivescovo di Durres, Mons. Vinçenc, padre Ciprian Nika, vennero accusati calunniosamente di aver nascosto le armi sotto l'altare di Sant'Antonio nella loro chiesa. Il clero cattolico si distinse per la sua fede, il suo patriottismo e la sua cultura. A p. Prendushi la dittatura propose di separarsi dalla Santa Sede di Roma per fondare la chiesa nazionalista. Tutti rifiutarono con coraggio tale proposta. La stessa proposta fu fatta anche a Mons. Frano Gjini, Vescovo e Delegato Apostolico, il quale rispose fermamente: "Mai separerò il mio gregge dalla Santa Sede" . Mons. Gjini fu fucilato nel 1948 e può essere paragonare al Cardinale Fiscer ed a Thomas Moore. Nessun sacerdote accettò lo scisma, e questo scatenò la reazione che portò all'imprigionamento di circa 170 sacerdoti. Ecco alcuni esempi di torture subiti dai sacerdoti. Padre Benardin Palaj morì sotto le torture, e morì a causa del tetano, nel convento dei Francescani, trasformato in carcere, dove si trovavano più di 700 detenuti. Don Leke Sirdani e don Pjeter çuni morirono immersi con la testa in giù nel pozzo nero. Don Alfons Tracki e don Zef Maksen, sacerdoti tedeschi, furono fucilati.

Padre Serafin Koda diede l'ultimo respiro con la laringe tirata fuori dalla gola. Papa Josif, sacerdote cattolico di rito bizantino, caduto stremato nella palude di Maliq, fu sepolto vivo nel fango. A don Mark Gjani chiesero di rinnegare Cristo, e la sua risposta fu: "Viva Cristo Re! ". Fu ucciso e il suo corpo dato in pasto ai cani. Don Mikel Beltoja fu torturato nella sala del processo, fatto a porte chiuse. La polizia lo ferì gravemente con i punteruoli e dopo alcuni giorni venne fucilato. Dopo questi atti cominciò una terribile propaganda culturale anticlericale e antireligiosa con la cosiddetta "lotta di classe". In tutte le istituzioni e in tutte le conferenze, lezioni, discorsi e conversazioni si propagandava che Dio non esisteva e che la religione era illusione e sfruttamento. Il 6 febbraio 1967, il dittatore diede inizio alla "rivoluzione culturale cinese". Tale rivoluzione si estese con la medesima intensità e ferocia, specialmente contro la Chiesa, anche negli angoli più sperduti del paese.

Furono chiuse tutte le chiese insieme alle moschee! La Cattedrale di Scutari fu trasformata in Palazzetto dello Sport. Proprio a Scutari, durante un congresso, il dittatore parlò contro Dio e contro la Chiesa cattolica. Le altre chiese che non furono distrutte furono trasformate in granai, sale di cultura, tribunali, stalle, officine... Non si vedevano più sacerdoti in giro. Si facevano controlli da per tutto, si frugava persino nei bauli del corredo delle donne. Il 10 luglio 1968 fu inaugurata nella città di Scutari esposizione ateista: "Sul ruolo retrogrado della fede". La persecuzione culminò nel 1967, quando l'Albania si proclamò "stato ateo". Questa situazione terribile continuò fino al 4 novembre 1990, giorno che segnò l'apertura della nuova epoca della religione e della professione della fede con una santa Messa al cimitero cattolico di Scutari.

Per tutti vale il triste primato sottolineato da Giovanni Paolo II. «La storia non aveva ancora conosciuto ciò che accadde in Albania». Eppure l'allora Pontefice rimarcava l'eroico coraggio del piccolo gregge sopravvissuto, a prova che «fu vana la pretesa di sradicare Dio dai cuori degli uomini».


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